“Interessante è che nella vita ci sia sempre l’interlocutore; che ti stia davanti o meno, poco interessa”.
Ho trovato il libro di Albino Bernardini emozionante fin dalle prime righe. Il suo è un vero e proprio trattato psico-pedagogico che si traveste di racconto grazie all’incantesimo della parola e che apre scenari su un’intensa storia di disagio sociale portata dallo scrittore magistralmente alla ribalta. La struttura a capitoli brevi sembra seguire quella propria della favola, utilizzata anche da Gianni Rodari, e la semplicità ed efficacia del linguaggio ripercorrere intenzionalmente quella di Salvatore bambino ed in seguito, di Salvatore come ragazzo. E’ la coscienza dello scrittore che dà voce ed emozione al protagonista, è lui il grande conoscitore dell’universo interiore del bambino. L’influenza di Jean Piaget si avverte subito: per crescere in armonia con sé stesso e con il mondo che lo circonda, il bambino deve sentirsi accettato in famiglia, a scuola, nella società in cui è inserito, regole imprescindibili affinché possa acquisire sicurezza e autonomia per il suo futuro di adulto. La serenità, l’accoglienza e il gioco, diventano le parole chiavi per realizzare la difficile impresa. Forte è la presenza della figura della madre. Una madre che accoglie con forti abbracci, che protegge ma che, come tutte le madri del mondo, “contagia il suo dolore” ai figli. Giovanni Bollea, famoso neuropsichiatria infantile, ha scritto un libro dal titolo Le madri non sbagliano mai, in cui la figura della madre viene valutata in tutta la sua condizione di essere umano: imperfetto. E imperfetta è la madre di Salvatore, abbandonata da un marito “fonte d’ispirazione” ma anche di delusione per il figlio, e costretta a mandare avanti le sorti della famiglia da sola nella realtà della borgata di Tivoli degli anni ‘70. La trovata didattico-educativa delle “storie senza finale” per stimolare l’immaginazione del bambino alla creazione di un finale proprio, viene utilizzata anche da Salvatore quando si cala nelle vesti di “Raccontatore” delle sue vicende personali ai bambini della scuola per volere del maestro. La figura maschile del maestro va a sostituire, ad un certo punto della storia, quella del padre come punto di riferimento, ma ciò non avverrà completamente. La fanciullezza di Salvatore viene negata, in un certo senso, dall’abbandono subito a causa del genitore. Le difficoltà economiche, le cattive amicizie e le difficoltà a scuola gli rendono la vita non meritevole di essere vissuta. Il suo sentirsi “statua vivente” nelle vesti di aiutante barbiere attesta quanto il protagonista avesse “bisogno di sognare”, di fare un salto di qualità che non lo coinvolgesse in scelte di vita sbagliate, frequenti in una realtà come la sua: il suo amico Bastiano viene ucciso a sedici anni mentre rapina una gioielleria. Nonostante tutto, ha dentro di sé la consapevolezza che per vivere bisogna lavorare onestamente e che è attraverso i sacrifici che si diventa uomini. Quando il padre gli propone di lavorare insieme al banco di frutta e verdura al mercato avviene la svolta. Gli insegnamenti acquisiti fino a quel punto della sua vita si arricchiscono del più importante: la scelta cosciente di affiancarsi, in un futuro, ad una persona che si ama davvero per essere completamente felici. Suo padre gli rivela dell’insoddisfazione coniugale che lo aveva portato a lasciarli per seguire l’amore vero, e Salvatore inconsciamente fa suo quell’insegnamento: aldila’ della delusione provata per l’allontanamento del padre, i suoi tormenti d’amore culmineranno con l’incontro e il riconoscimento in Mariangela come la donna della sua vita. Ecco perché il maestro, che pur gli consiglierà di arruolarsi nei Carabinieri per migliorare le sue condizioni di vita, non potrà sostituire la figura del padre. Quel magico momento di ascolto tra padre e figlio sulla via di ritorno dal lavoro, fa in modo che il padre possa intervenire in tempo sul futuro del figlio. Bollea durante un’intervista ha affermato: “[…] non abbiate paura di sbagliare: i figli perdonano sempre quando si sentono ascoltati”. Nell’ultimo capitolo infatti, realizzatosi sia nel lavoro che in amore, il protagonista dirà a sua madre: “ […] e sappi che sono felice!”. Ancora un parallelismo con il grande neuropsichiatra, che diede ad uno dei suoi libri più importanti il titolo: Genitori grandi maestri di felicità. Eppure gli volevo tanto bene!: forse è proprio questo, nonostante tutto, il pensiero più presente nella mente di Salvatore e che percorre tutto il suo racconto, fino alla fine.
Romina Maturi
Ho trovato il libro di Albino Bernardini emozionante fin dalle prime righe. Il suo è un vero e proprio trattato psico-pedagogico che si traveste di racconto grazie all’incantesimo della parola e che apre scenari su un’intensa storia di disagio sociale portata dallo scrittore magistralmente alla ribalta. La struttura a capitoli brevi sembra seguire quella propria della favola, utilizzata anche da Gianni Rodari, e la semplicità ed efficacia del linguaggio ripercorrere intenzionalmente quella di Salvatore bambino ed in seguito, di Salvatore come ragazzo. E’ la coscienza dello scrittore che dà voce ed emozione al protagonista, è lui il grande conoscitore dell’universo interiore del bambino. L’influenza di Jean Piaget si avverte subito: per crescere in armonia con sé stesso e con il mondo che lo circonda, il bambino deve sentirsi accettato in famiglia, a scuola, nella società in cui è inserito, regole imprescindibili affinché possa acquisire sicurezza e autonomia per il suo futuro di adulto. La serenità, l’accoglienza e il gioco, diventano le parole chiavi per realizzare la difficile impresa. Forte è la presenza della figura della madre. Una madre che accoglie con forti abbracci, che protegge ma che, come tutte le madri del mondo, “contagia il suo dolore” ai figli. Giovanni Bollea, famoso neuropsichiatria infantile, ha scritto un libro dal titolo Le madri non sbagliano mai, in cui la figura della madre viene valutata in tutta la sua condizione di essere umano: imperfetto. E imperfetta è la madre di Salvatore, abbandonata da un marito “fonte d’ispirazione” ma anche di delusione per il figlio, e costretta a mandare avanti le sorti della famiglia da sola nella realtà della borgata di Tivoli degli anni ‘70. La trovata didattico-educativa delle “storie senza finale” per stimolare l’immaginazione del bambino alla creazione di un finale proprio, viene utilizzata anche da Salvatore quando si cala nelle vesti di “Raccontatore” delle sue vicende personali ai bambini della scuola per volere del maestro. La figura maschile del maestro va a sostituire, ad un certo punto della storia, quella del padre come punto di riferimento, ma ciò non avverrà completamente. La fanciullezza di Salvatore viene negata, in un certo senso, dall’abbandono subito a causa del genitore. Le difficoltà economiche, le cattive amicizie e le difficoltà a scuola gli rendono la vita non meritevole di essere vissuta. Il suo sentirsi “statua vivente” nelle vesti di aiutante barbiere attesta quanto il protagonista avesse “bisogno di sognare”, di fare un salto di qualità che non lo coinvolgesse in scelte di vita sbagliate, frequenti in una realtà come la sua: il suo amico Bastiano viene ucciso a sedici anni mentre rapina una gioielleria. Nonostante tutto, ha dentro di sé la consapevolezza che per vivere bisogna lavorare onestamente e che è attraverso i sacrifici che si diventa uomini. Quando il padre gli propone di lavorare insieme al banco di frutta e verdura al mercato avviene la svolta. Gli insegnamenti acquisiti fino a quel punto della sua vita si arricchiscono del più importante: la scelta cosciente di affiancarsi, in un futuro, ad una persona che si ama davvero per essere completamente felici. Suo padre gli rivela dell’insoddisfazione coniugale che lo aveva portato a lasciarli per seguire l’amore vero, e Salvatore inconsciamente fa suo quell’insegnamento: aldila’ della delusione provata per l’allontanamento del padre, i suoi tormenti d’amore culmineranno con l’incontro e il riconoscimento in Mariangela come la donna della sua vita. Ecco perché il maestro, che pur gli consiglierà di arruolarsi nei Carabinieri per migliorare le sue condizioni di vita, non potrà sostituire la figura del padre. Quel magico momento di ascolto tra padre e figlio sulla via di ritorno dal lavoro, fa in modo che il padre possa intervenire in tempo sul futuro del figlio. Bollea durante un’intervista ha affermato: “[…] non abbiate paura di sbagliare: i figli perdonano sempre quando si sentono ascoltati”. Nell’ultimo capitolo infatti, realizzatosi sia nel lavoro che in amore, il protagonista dirà a sua madre: “ […] e sappi che sono felice!”. Ancora un parallelismo con il grande neuropsichiatra, che diede ad uno dei suoi libri più importanti il titolo: Genitori grandi maestri di felicità. Eppure gli volevo tanto bene!: forse è proprio questo, nonostante tutto, il pensiero più presente nella mente di Salvatore e che percorre tutto il suo racconto, fino alla fine.
Romina Maturi